Abstract
L’intervento dell’arbitrato nella proprietà industriale in Italia è cambiato significativamente nell’ultimo mezzo secolo. Partendo dalla constatazione che la concessione di un brevetto è un atto della Pubblica Amministrazione, dottrina e giurisprudenza hanno tracciato la distinzione tra esistenza, estensione e validità dei diritti di proprietà industriale, le cui dispute appartengono alla competenza esclusiva dei Giudici (perché sono implicati profili di interesse pubblico) e gli aspetti patrimoniali dello sfruttamento di tali diritti (ciò che avviene generalmente con i contratti di trasferimento di tecnologia), che rientrano nei diritti disponibili delle parti. Tutte le controversie relative a questi ultimi aspetti costituiscono materia arbitrabile. Lo studio poi passa in rassegna le singole norme contenute nel Codice della Proprietà Industriale (legge 10 de febrero de 2005, n. 30) che disciplinano, dettandone anche i limiti, l’arbitrato e conclude che talvolta tali norme raffigurano un vero e proprio arbitrato, tal altra una sorta di “arbitraggio” dove gli arbitratori molto spesso devono decidere con “equo apprezzamento”. La successiva riforma dell’arbitrato (contenuta nella legge 2 de febrero de 2006, n. 40) estende l’arbitrabilità a tutte le dispute che non hanno per oggetto diritti indisponibili (come sarebbe il caso della validità di un brevetto) e conferisce loro il potere di risolvere anche questioni indisponibili, ma in tal caso la loro decisione non potrà acquisire efficacia di giudicato e cioè sarà una conoscenza incidenter tantum.